Scade il 02 FEB 2014
“Sono andato a Sofia, in Bulgaria, per visitare una mostra di Nedko Solakov, noto in tutta Europa da una decina d’anni per aver partecipato alle più importanti mostre in Biennale, Documenta, grandi musei, per aver fatto libri con Phaidon e altri famosi editori. Solokov l’ho conosciuto al Marta di Herford qualche anni fa alla presentazione della scultura di Paolo Chiasera Tupac Shakur. Mi sono accorto di lui e del suo lavoro poco a poco (ci metto sempre un po’…), ma abbiamo trovato tante consonanze. È un uomo svelto a fare le connessioni, abbiamo fatto una mostra ed altre avventure, tra cui una grande scultura di pelouche, come una balena bianca di pelo con una bocca piccola ed una luna nella pancia. Uno dei suoi tipici disegni ma senza parole. Per vederlo bisognava mettersi carponi e tante teste blasonate dell’arte si sono messe così, col sedere per aria, per vederla. E tutti ridevano felici come bambini… a volte l’arte fa bene alle coronarie.”
È proprio un divertito Massimo Minini chinato di fronte all’opera A Beauty di Nedko Solakov a dare il via ai festeggiamenti per i quarant’anni di attività della propria galleria con la mostra Quarantanni d’artecontemporanea – Massimo Minini 1973-2013, esposizione che invade le grandi sale del piano superiore de La Triennale di Milano.
Un omaggio ad uno dei più importanti galleristi d’Italia, ma soprattutto ennesimo riconoscimento della sua lunga carriera. Massimo è una figura che per molti versi ha contribuito a valorizzare il talento di tantissimi artisti, sia italiani che stranieri, esempio principe delle tante realtà che negli anni hanno esercitato sull’arte il loro impegno diventando, con le proprie mostre, luoghi privilegiati di sperimentazione.
«Espongo gli invenduti – scherza Minini – che poi alle volte è vero poiché i lavori invenduti sono i più grandi, i più ingombranti quelli che la gente non sa dove mettere in casa, come ad esempio la grande tenda di Jan Fabre, lunga 20 metri che ho comprato da lui e per così dire non sono mai riuscito a vendere, non ci ho mai provato veramente fino in fondo però». La mostra è così costituita da opere passate dalla galleria Minini, ma anche da pezzi provenienti dalla sua collezione, un vero e proprio spaccato di storia dell’arte contemporanea raccontata da un punto di vista speciale, talvolta ironico e dissacrante dall’attore protagonista. Una storia con molti flash back, in cui Minini cerca di legare, giustificare e raccontare i vari momenti e passaggi con quella modalità tipica che ha trovato una peculiare forma letteraria nei “Pizzini”, diventati un libro di successo con brevi favole, flash, racconti sugli artisti incontrati in questi anni. L’andamento non segue dunque un ordine tematico, né cronologico bensì un criterio che non si sbaglia col definire “anarchico”, basato su associazioni concettuali ed emotive. Le didascalie perdono il loro tono didattico e si fanno racconti, ogni opera è infatti accompagnata da un famoso Pizzino. Una lunga storia testimoniata dalla presenta di importanti nomi italiani e internazionali ma affidata anche agli intensi intrecci di relazioni tra artisti e gallerista, qui documentate da lettere, note, immagini che restituiscono meglio di ogni opera la storia di questa realtà.
Mostra nata da un libro, spiega Minini, fatto con un editore che ammira moltissimo, Amedeo Martegani di A+M Bookstore: «Avevo visto il libro su Boetti da lui realizzato tanti anni fa e mi son detto, quando faccio un libro voglio che sia come questo. Detto fatto, per i 40 anni ho pensato di fare il libro, ho chiamato l’editore e gli ho dato 100 fogli dal mio archivio, ne abbiamo discusso assieme lui ha impostato la gabbia del libro e tra una cosa e l’altra siamo arrivati a 500 pagine. […] L’ho mostrato ai curatori della Triennale che sono sbiancati o arrossiti, dipende… poi, dopo pochi mesi mi hanno proposto di fare una mostra e a quel punto sono sbiancato io. Pensavo volessero una mostra legata all’architettura, in realtà volevano una mia mostra, una mostra sulla mia attività di gallerista. Visto il luogo, ho pensato di esporre dei lavori dove, più che in altri, ci fosse un forte nesso con l’architettura. Penso all’opera di Dan Graham, di Peter Halley ma lo stesso Alberto Garutti che fece la sua prima mostra da me nel 1976».
Nelle due grandi sale dove si sviluppa la mostra, le grandi opere come quella di Nedko Solakov, di Jan Fabre o tele di Vanessa Beecroft sono intervallate da lavori molti piccoli, come ad esempio la foto di Luigi Ontani. Un Totem di Kapoor, le bandiere effimere della Marisaldi, gli enormi post-it colorati di Alberto Garutti oppure le coloratissime vetrate di Daniel Buren realizzate appositamente per l’esposizione. Poi ancora, una stanza quasi totalmente dedicata a Piero Gilardi, le scale riflettenti di Monica Bonvicini ma anche tantissime fotografie di Claudio Abate, Rogen Ballen, Elisabetta Catalano, Mario Dondero, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Paolo Gioli, Mimmo Jodice, Ugo Mulas o Gabriele Basilico, a cui Massimo Minini rivolge la manifestazione: «Dedico questa mostra a Gabriele Basilico, perché è stato un grande fotografo di architettura e questo mi sembrava il luogo più adatto per fargli questa dedica».
“Le tue fotografie mi hanno stupito, all’inizio, caro Gabriele, caro Basilico, e mi sono sempre chiesto come facevi a beccare quelle strade così deserte, come quelle di Gaber negli anni ’60 (Milano torna sempre nei nostri pensieri). Immagini di vie, di fabbriche, all’inizio e poi di grandi palazzi, spesso in strani accostamenti, ma sempre in assenza di esseri umani. Mi sono chiesto quali attese, quali appostamenti, quanti week-end sacrificati alla causa, quanta pazienza ed attenzione, mi sono domandato se giravi in bicicletta, difficile per l’attrezzatura, ma ora sappiamo che lo facevi senza cavalletto e quindi si, forse in bici. Ma in caso di pioggia come avresti fatto con l’ombrello? Fotografo documentarista, quindi, ma con un approccio che viene da un progetto preciso: se l’uomo e le sue stranezze erano i protagonisti (lo sono ancora) fino a Cartier-Bresson ed oltre, nella tua fotografia è la città, allargatasi poi al paesaggio, che la fa da padrone. Dal particolare al generale, dal microcosmo al macrocosmo, la tua visione ci porta a vedere il mondo non dal buco della serratura come voyeur, ma come pellegrini moderni del Grand Tour. Documentarista di città immobili, senza auto o motorini che sfrecciano, senza persone in posa, senza vecchietti col tabarro di una Italia neorealista, senza paparazzi che inseguono Anitona o Fellini. Gli italiani non si voltano, nelle tue immagini. Se ne stanno là in fondo, e si fanno gli affari loro.”
Quarantanni d’artecontemporanea Massimo Minini 1973-2013 Triennale di Milano viale Emilio Alemagna 6, Milano Martedì – Domenica 10.30 – 20.30 Giovedì 10.30 – 23.00 Lunedì chiuso La biglietteria chiude un’ora prima. www.triennale.it |
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