Di Alessandra Pozzati
Recentemente finito sulle prime pagine dei tabloid inglesi per le sue vicende matrimoniali, Charles Saatchi è sicuramente uno degli uomini che maggiormente hanno influenzato il mondo dell’arte contemporanea e decretato il successo o il declino di alcuni artisti.
Co-fondatore negli settanta con il fratello Maurice dell’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi, a partire da quegli stessi anni Charles inizia a collezionare arte: più che una passione un’ossessione, a tal punto che Damien Hirst lo ha definito un “malato di shopping artistico compulsivo”, un artoholic insomma.
Solitamente schivo e poco incline a rilasciare interviste, in Mi chiamo Charles Saatchi e sono un artolico Saatchi affronta le domande di critici, giornalisti e persone comuni; può risultare simpatico o irritante (questione di gusti), ma di sicuro non si fa scrupolo nell’essere brutalmente diretto. Incurante di accattivarsi la simpatia del prossimo, il collezionista/gallerista risponde anche a interrogativi scomodi e provocatori, come quelli sull’autenticità della sua passione per l’arte (frequenti sono le accuse che gli vengono mosse di condizionare il mercato) o sull’incendio del magazzino dove conservava alcune opere (“Ha bruciato o fatto bruciare da un piromane di fiducia il magazzino con le sue opere?”)
Entrare a far parte della sua collezione è per un giovane una consacrazione che farà volare le sue quotazioni di mercato (vedi negli anni Ottanta gli Young British Artists), ma allo stesso tempo all’artista conviene incrociare le dita: non è detto che un giorno Saatchi, dopo averne acquistato in blocco le opere, non decida di venderle tutte insieme facendone così crollare il valore.
Quando gli viene chiesto se dietro ciò ci sia una strategia precisa a guidare questo tipo di scelte, il collezionista afferma candidamente che la sola ragione è che: “se avessi tenuto tutte le opere che ho comprato nella mia vita sarei come Charles Foster Kane di Quarto potere, solo in una Candalù stipata di tesori”.
Da sempre fiero di sostenere i giovani artisti e di dare loro la possibilità di mostrare le proprie opere, Saatchi ha aperto una sezione del sito della sua galleria dove chiunque, senza alcun tipo di selezione o filtro, può proporre al pubblico le proprie opere e che, secondo il gallerista “porta una marea di opere fuori dagli atelier e nelle case dei collezionisti”.
Le polemiche non sono mai mancate nemmeno in occasione delle mostre organizzate da lui organizzate: Sensation nel 2000 fu rifiutata dalla National Gallery of Australia per questioni di etica museale, Usa Today nel 2006 esponeva opere considerate offensive e scioccanti, Neurotic Realism nel 1998 fu definita un gigantesco flop, ma Saatchi non se l’è mai presa e men che meno si è scomposto; d’altra parte anche una stroncatura è un segno di attenzione da parte della critica, no?
Sincero appassionato d’arte o astuto mercante? Collezionista instancabile o gallerista senza scrupoli? Difficile dirlo, ma qualora alla fine della lettura qualche vostra curiosità non fosse ancora stata soddisfatta, nell’ultima pagina del volume troverete tra i vari credits l’indirizzo e-mail a cui rivolgere direttamente a Saatchi le vostre domande: in futuro, in un altro libro/ intervista, potrebbe rispondere proprio a voi!