Collocato nel percorso espositivo del Museo del Novecento, il Libro dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti rappresenta simbolicamente il bisogno di azzeramento del pensiero sull’arte che dominerà gran parte del movimento Concettuale. Un’assenza fisica e spirituale scandita dalle candide pagine meticolosamente private del loro centro.
“Quello che ho fatto, pensato e ascoltato l’ho dimenticato a memoria: è questo il primo documento autentico” Vincenzo Agnetti
Realizzato tra il 1969 e il 1970 in 528 esemplari, il grande volume (70 x 50 cm) si inserisce pienamente nell’ampia e articolata categoria dei libri d’artista.
Sin dal primo sguardo è impossibile non notare la sua peculiarità: la parte della pagina che normalmente è destinata ad ospitare la stampa, è stata rimossa con un’estrema precisione trasformando i fogli in cornice di un vuoto assoluto e perentorio. Un’azione che non risparmia neppure la copertina – di tela – del libro stesso, che viene così completamente a perdere la sua canonica funzione di protezione e custodia.
Rifacendosi all’arte Concettuale, che trova il suo fondamento non più su un piacere estetico, quanto piuttosto sul pensiero e sull’espressione tautologica, Agnetti riesce a mostrare in modo del tutto oggettivo il vuoto, visivamente concretizzato nell’assenza di parte della pagina. Il dimenticare viene così metaforicamente associato all’idea di mancanza, di perdita.
Un ossimoro, dimenticare a memoria, che l’artista accetta e propone al suo pubblico come verità, tanto da articolare tutta la sua prima attività artistica attorno a questo concetto, nella piena convinzione che “la cultura è l’apprendimento del dimenticare”.
L’arte viene così a identificarsi con l’assenza, con la negazione di tutto ciò che è imposto e precostituito; un’azione distruttiva e costruttiva al tempo stesso, in cui si toglie per lasciare spazio al nuovo, all’immaginabile e al paradosso, veri motori di qualsiasi cambiamento ed evoluzione.