In un inverno del secondo dopoguerra il musicologo Giulio Confalonieri guardando fuori dai vetri di una fiaschetteria affacciata su via Brera, ebbe miraggi dalle etichette delle bottiglie di rhum, parlò di sole, palme e spiagge caraibiche, evocò la Giamaica e da allora il caffè, famoso per le sue frequentazioni artistico-intellettuali, prese il nome di Bar Jamaica.

Questa è solo una delle versioni del mito fondativo del locale meneghino, accanto agli echi del film di Hitchcock La taverna della Giamaica allora nelle sale.
Tra gli storici frequentatori si possono ricordare: il fotografo Ugo Mulas, Alfa Castaldi, il critico cinematografico Guido Aristarco, il giovane Piero Manzoni e Lucio Fontana che scopriva lo spazialismo, Gianni Dova, Roberto Crippa e il giovanissimo Valerio Adami, gli scrittori Germano Lombardi e Nanni Balestrini del movimento letterario Gruppo ’63, ma anche Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo e il poeta fautore della Beat Generation Allan Ginsberg.
Naque in quegli anni una forma di baratto artistico che non avrà eguali nella storia: quadri in cambio di cibo, macchine fotografiche prese a prestito, opere d’arte perse giocando a scopa, il tutto gestito da “Mamma Lina”, curiosa mecenate e proprietaria del Caffè che faceva credito a fondo perduto e rifiutava i quadri come pagamento per non sfruttare il momento di bisogno degli artisti.


Bar Jamaica
via Brera 32
Milano