ArtLine Milano, un nuovo parco in città

Il Comune di Milano ha da oramai molto tempo una bella tradizione alle spalle quando si tratta di arte pubblica.

Aggiornato al 12 luglio 2020

Oltre agli innumerevoli monumenti e pezzi d’arte contemporanea che trovate in giro per la città – e di cui Yog vi parla spesso – ci sono stati impornanti premi banditi dal comune che hanno arricchito le raccolte civiche ma anche, a esempio, la collezione in parco Sempione nata nel 1973 grazie all’iniziativa Contatto Arte/Città ideato con lo scopo di avvicinare l’arte alla cittadinanza e di rendere quest’ultima maggiormente partecipe attraverso una nuova fruibilità delle opere d’arte che non fosse solo mera contemplazione museale ma interazione pubblica.

ArtLine Milano segue questa strada e si presenta come un nuovo parco d’arte contemporanea in città, un progetto d’arte pubblica del Comune di Milano che arricchirà la zona verde di CityLife con oltre ventri opere permanenti, 8 delle quali sono state selezionate con un concorso per artisti under40. Gli otto artisti selezionati attraverso il suddetto sono: Riccardo Benassi, Rossella Biscotti, Linda Fregni Nagler, Shilpa Gupta, Adelita Husni-Bey, Wilfredo Prieto, Matteo Rubbi e Serena Vestrucci.

L’idea è sempre la medesima, ovvero quella di diffondere l’arte, facendola vivere a contatto con gli abitanti del quartiere, coloro che passeggeranno nel parco e tutti i cittadini. ArtLine Milano è aperta 7 giorni su 7 ed è fruibile gratuitamente, per ribadire l’importanza dello spazio pubblico nell’ottica di una condivisione del patrimonio artistico e culturale.

Le prime opere sono state installate a partire dal 2016 e appaiono completamente integrate con le architetture di Zaha Hadid, Arata Isozaki e Daniel Libeskind e con l’evoluzione naturale del parco di CityLife, progettato dallo studio Gustafson Porter.
Un programma con appuntamenti, incontri, conferenze e workshop accompagnerà il pubblico per l’intera durata del progetto e dunque anche questo sarà un articolo in costante aggiornamento man mano che il parco crescerà.

L’area CityLife con il parco e le nuove architetture, Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020

Prima del 1923 questo luogo era periferico ed era sede dalla piazza delle Armi, dove si svolgevano le esercitazioni militari. In quell’anno però l’area viene acquistata dall’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e ne diventa la sede fino al 2006.
Nel 2004 il quartiere fieristico inizia il suo spostamento verso la nuova sede di Rho-Pero e l’area urbana di circa 240.000 mq diventa oggetto di una gara internazionale vinta da CityLife con un progetto di riqualificazione urbana a firma di architetti del calibro di Zaha Hadid, Arata Isozaki e Daniel Libeskind.

L’area CityLife con il parco e le nuove architetture, Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

L’area CityLife con il parco e le nuove architetture, Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Intorno al cuore centrale del progetto, piazza Tre Torri con il suo business and shopping district si sviluppa un parco pubblico di 173.000 mq, ideato dallo studio londinese Gustafson Porter, vincitore di un concorso internazionale, la cui filosofia generale si fonda sulla rappresentazione del paesaggio lombardo dalla pianura alle prealpi, sia negli elementi morfologici che nella selezione di specie botaniche autoctone. Nel 2014 il Comune di Milano decide di arricchire il parco pubblico con una collezione d’arte contemporanea a cielo aperto e affida la progettazione a Roberto Pinto (come senior curator) e Sara Dolfi Agostini che invitano 30 artisti internazionali under40 a partecipare ad un concorso inviando i loro progetti, otto di questi vengono selezionati da una giuria internazionale. I restanti progetti vengono affidati dai curatori ad artisti internazionali già affermati. A dicembre 2015 si tiene a Palazzo Reale la mostra del concorso a al dipartimento curatoriale si aggiungono Katia Anguelova (per la produzione) e Angela Maderna (per la comunicazione).
La realizzazione delle opere ha inizio nel 2016. Arte e verde cresceranno insieme.
Di seguito le prime opere allestite nel nuovo parco.



Serena Vestrucci, Vedovelle e Draghi Verdi

Serena Vestrucci, Vedovelle e Draghi Verdi, 2016, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Serena Vestrucci, Vedovelle e Draghi Verdi, 2016, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Serena Vestrucci, Vedovelle e Draghi Verdi, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Per ciascuna fontanella installata nel parco l’intervento consiste nel sostituire il rubinetto – originariamente in ottone – con una scultura di volta in volta diversa, ottenuta attraverso la lavorazione di un modello in cera, la sua conseguente fusione in bronzo e la successiva galvanizzazione in oro.
Ognuna delle fontanelle presenta così una testa di drago differente, unica. Un gesto silenzioso di cui si accorge solo chi si avvicinerà per bere.
Il progetto sceglie di intervenire su qualcosa che è già stato previsto: le fontanelle pubbliche con le loro strutture in ghisa, dipinte di verde. Il termine vedovelle è dovuto al loro continuo scrosciare di acqua, che ricorda il pianto di una vedova, altrimenti conosciute anche come draghi verdi per il tipico rubinetto a forma di testa di drago.

Serena Vestrucci è nata a Milano nel 1986, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera e lo IUAV di Venezia. Nelle sue opere, realizzate a pennarello, con i trucchi da make-up, cucite, ritagliate ecc., c’è quasi sempre una componente manuale e non a caso la sua ricerca si è spesso concentrata sul tempo richiesto dall’esecuzione dell’opera, partendo dalla più ampia riflessione su cosa significhi per un artista distinguere tra tempo libero e lavorativo. La ricerca di Serena Vestrucci s’interroga anche sul mercato dell’arte, sul valore attribuito all’opera e sulle modalità di scambio. Mentre la parola, utilizzata nei titoli, è spesso parte integrante del lavoro e suggerisce un dialogo tra il fruitore e l’artista. serenavestrucci.com



Matteo Rubbi, Cieli di Belloveso

Matteo Rubbi, Cieli di Belloveso, 2016, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Matteo Rubbi, Cieli di Belloveso, 2016, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Matteo Rubbi, Cieli di Belloveso, 2016, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Matteo Rubbi, Cieli di Belloveso, Courtesy ArtLine Milano. Foto di Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

L’opera è composta da oltre 100 stelle in pietra, di dimensioni, forme, colori e materiali variabili. Le stelle sono sparse e incastonate nella pavimentazione di Piazza Burri.L’opera ricostruisce il cielo stellato visibile a Milano nella primavera del 600 a.C., data intorno alla quale Tito Livio colloca la leggendaria fondazione di Milano da parte del principe Belloveso, il racconto è ammantato di dati astronomici.
Nella zona dello Zenith si trovano incise le coordinate temporali e storiche relative al cielo stellato presentato, una chiave che permette di leggere il disegno e di immaginare la città prima che tutta la sua storia cominciasse.
Mettere oggi un cielo stellato, nel mezzo di una metropoli come Milano, ha un valore scardinante. Lo sviluppo smisurato delle città contemporanee ha determinato poco a poco l’estinzione delle stelle e del buio.

Matteo Rubbi è nato a Seriate (BG) nel 1980 ed è cofondatore dell’Associazione Cherimus, associazione radicata nella zona del Sulcis-Iglesiente in Sardegna che opera con l’obiettivo di integrare arte contemporanea e identità locali. Nelle opere di Matteo Rubbi il fruitore è invitato a rileggere il contesto in cui si trova e in alcuni casi anche il proprio ruolo all’interno della società. L’osservatore dell’opera non si limita ad essere uno spettatore passivo ma viene coinvolto dall’artista che lo invita a collaborare con lui, a volte durante il processo di realizzazione dell’opera (magari attraverso workshop da lui condotti), altre attivandola attraverso vere e proprie azioni: può capitare di dover giocare interpretando regole incomplete, oppure di dover agire all’interno di situazioni messe in scena dall’artista. La ricerca di Matteo Rubbi è spesso influenzata dall’interesse per la divulgazione scientifica e per gli elementi naturali; lo testimoniano le opere sul sistema solare, sull’universo e sulle costellazioni. www.matteorubbi.com



Ornaghi & Prestinari, Filemone e Bauci

Ornaghi & Prestinari, Filemone e Bauci, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Ornaghi & Prestinari, Filemone e Bauci, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Ornaghi & Prestinari, Filemone e Bauci, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020 

Ornaghi & Prestinari, Filemone e Bauci, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020 

 

 

L’area CityLife con il parco e le nuove architetture, Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Filemone e Bauci è una fusione in alluminio raffigurante due colonne umanizzate che stazionano una accanto all’altra tenendosi a braccetto mentre osservano i nuovi grattacieli che si stagliano verso l’alto. L’architettura del passato osserva quella del presente. Filemone e Bauci secondo il mito greco invecchiano insieme sopportando le difficoltà grazie alla forza del loro legame, gli unici che abbiano aperto le porte della loro casa a Zeus e Ermes in cerca di accoglienza. Un’opera che possiamo considerare un augurio di convivenza e ospitalità per la città.

Valentina Ornaghi (Milano, 1986) e Claudio Prestinari (Milano, 1984) lavorano insieme dal 2009, partiti rispettivamente da una formazione nel disegno industriale e in architettura, hanno poi indirizzato i loro interessi verso le arti visive. Nelle loro opere Ornaghi & Prestinari realizzano opere con tecniche differenti tra loro come: l’installazione, la scultura, il disegno, l’incisione o anche il ricamo. In questa pratica artistica la ricerca sui materiali e la sperimentazione dei processi di lavorazione, artigianali o industriali, giocano un ruolo fondamentale. Tra i temi del loro lavoro ci sono il concetto di trasformazione, l’idea del prendersi cura e del riparare le cose di ogni giorno. Attenti alle qualità funzionali ed estetiche, questi artisti, attraverso l’esercizio e la delicatezza dei loro interventi arricchiscono poeticamente oggetti comuni e d’uso quotidiano. www.ornaghi-prestinari.com



Judith Hopf, Hand and Foot for Milan

Judith Hopf, Hand and Foot for Milan, 2017, Milano. Foto di Alberto Fanelli. Courtesy ArtLine Milano

Judith Hopf, Hand and Foot for Milan, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

L’opera è composta da due sculture poste a poca distanza tra loro: una mano che spunta del terreno quasi a simulare un saluto e un piede appoggiato sul prato. Entrambi gli elementi sono di grandi dimensioni e vengono realizzati impiegando mattoni sagomati e sovradimensionati, modellati artigianalmente appositamente per quest’opera. Due forme provenienti dall’anatomia umana che sono state ingigantite e costruite con uno dei più classici materiali edili, che dialogano con un contesto architettonicamente molto connotato.
La mano è in via di realizzazione e sarà installata nel parco nella primavera del 2018.

Judith Hopf (Karlsruhe, 1969) è un’artista tedesca che vive e lavora a Berlino. Le sue opere rivelano sin dagli esordi un atteggiamento autoironico attraverso il quale l’artista è capace di evidenziare e mettere in discussione situazioni legate sia al linguaggio dell’arte, sia al sistema sociale. Nella sua ricerca si è confrontata con diversi media come la grafica, la scultura, l’installazione, il film e la performance. I soggetti delle sue opere sono spesso animali, umani o oggetti umanizzati realizzati impiegando materiali d’uso quotidiano, come hardware di computer, vasi oppure materiali comuni da costruzione come i mattoni, il cemento o il ferro. www.judithhopf.com



Maurizio Nannucci, New Times for Other Ideas / New Ideas for Other Times

Maurizio Nannucci, New Ideas for Other Times, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020

Maurizio Nannucci, New Times for Other Ideas / New Ideas for Other Times, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020

L’opera “New Times for Other Ideas / New Ideas for Other Times” è una doppia scritta realizzata con tubi al neon blu e rosso che l’artista ha ideato per essere posizionata sulla facciata del Padiglione 3, un edificio costruito nel 1923 dall’architetto Paolo Vietti Violi che rimane l’unico padiglione superstite della struttura espositiva della sede storica della Fiera di Milano. Il passante si trova di fronte alle due frasi quasi speculari che stimolano una nuova interpretazione del contesto spaziale e invitano a riflettere sull’idea di nuovo, sullo scorrere del tempo e sulle contaminazioni che tali concetti generano.
L’artista vuole stimolare una riflessione sulle influenze che gli interventi urbanistici e architettonici – talvolta così radicali da aver modificato lo skyline della città – hanno sulla nostra vita e sul modo di pensare o di concepire la realtà stessa. Un ragionamento rafforzato dal fatto che l’installazione si trova proprio sopra un edificio simbolico, che ricopre una funzione di testimonianza della storia e dell’identità del luogo.

Maurizio Nannucci (Firenze, 1939) vive in Italia e nel sud Baden. Inizia la sua attività artistica a partire dalla metà degli anni Sessanta lavorando sulle relazioni tra immagini visive e il linguaggio attraverso l’utilizzo di numerosi media tra cui la fotografia, il video, il libro d’artista, le installazioni, la performance, la sperimentazione sonora e teatrale. A partire dal 1967 Nannucci comincia a produrre le sue prime opere realizzate con i neon, che costituiscono uno dei nuclei più importanti della sua produzione, in cui si intrecciano aspetti legati all’arte concettuale con una dimensione più poetica e dialogante con lo spettatore. Costruiti spesso come installazioni di grande formato questa tipologia di opere vengono realizzate dall’artista in stretta relazione con lo spazio architettonico. È stato più volte invitato alla Biennale di Venezia, a Documenta di Kassel e alle biennali di San Paolo, Sydney e Istanbul. Ha all’attivo mostre e opere permanenti nelle più prestigiose istituzioni internazionali.



Pascale Marthine Tayou, Coloris

Pascale Marthine Tayou, Coloris, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Pascale Marthine Tayou, Coloris, Courtesy ArtLine Milano. Foto Valeria Corbetta yourownguide, luglio 2020

Pascale Marthine Tayou, Coloris, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020

L’opera è composta da una pavimentazione in calcestruzzo raffigurante il planisfero terrestre su cui sono piantati un centinaio di pali metallici dai colori pastello e dalle dimensioni variabili, tra i 6 e i 12 metri di altezza, e sulla sommità di ognuno di essi è posizionato un uovo.

Pascale Marthine Tayou (Yaoundé, 1967) vive e lavora tra Gand, in Belgio, e Yaoundé, in Camerun. Nel suo lavoro Tayou spazia tra i vari media usando indifferentemente l’installazione, la fotografia, il video, il disegno, e perfino i libri. La ricerca che l’artista conduce viaggiando da una parte all’altra del mondo è spesso legata all’analisi dell’identità sia culturale, con il ricorso a una gamma cromatica che ci ricorda i colori del paesaggio africano, sia individuale, come rivela la scelta di assumere ironicamente un nome femminile. Anche in Coloris l’intenzione è esplorare alcune delle questioni sollevate dalle migrazioni e dalla costituzione di un villaggio globale di cui è difficile stabilire contorni e confini precisi. Pascale Marthine Tayou si interessa agli effetti della circolazione di oggetti, idee e persone nel mondo, mescolando geografie, combinando simboli, tecniche e materiali, provenienti da tradizioni culturali diverse, allo scopo di creare nuovi significati e nuove interpretazioni della realtà. www.pascalemarthinetayou.co

Pascale Marthine Tayou, Coloris, nell’area di CityLife, Courtesy ArtLine Milano. Foto Giuseppe Corbetta yourownguide, luglio 2020


ArtLine Milano – Parco d’arte Contemporanea
Ingressi: piazza Tre Torri, piazzale Giulio Cesare o
piazza VI Febbraio, viale Berengario 
M5 fermata Tre Torri

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